Ricordi la storia di Ian Burkhart, il ragazzo che dopo un incidente divenne paralitico e che fu tra i primi a sperimentare un’interfaccia cervello-computer? Aveva iniziato a muovere di nuovo la mano e il braccio, ma ora ci sono altre buone notizie.

Sono trascorsi 6 anni da quando Ian Burkhart si iscrisse al programma sperimentale NeuroLife di Battelle, un’organizzazione di ricerca nonprofit situata in Ohio. Gli impiantarono un chip nel cervello per monitorare i segnali elettrici della corteccia motoria primaria e inviarli a un PC tramite un cavo. Un software poi decodificava quei segnali corrispondenti a movimenti volontari, permettendo a Burkhart di trasformare il pensiero in azione.

Così, dopo un anno di esercitazioni, sforzi e tentativi Burkhart è riuscito a ripristinare il movimento della mano in modo parziale. Poco tempo dopo è migliorato anche con i movimenti del braccio, tant’è vero che riusciva a giocare a una versione modificata di Guitar Hero dove bastava una sola mano.

Ma il senso del tatto?

Ian Burkhart in una sessione di terapia
Ian Burkhart (al centro) durate una sessione di terapia insieme al dott. Gaurav Sharma (a sinistra) e alla dott.ssa Marcie Bockbrader (a destra). Foto di OSU

Il ritorno del feedback tattile

Immagina di afferrare un oggetto senza sentirlo al tatto. Non puoi sapere se lo hai afferrato bene. Non puoi sapere quanta forza devi imprimere nelle dita. Non puoi conoscere la consistenza dell’oggetto. Il senso del tatto ci restituisce informazioni utili e ci permette di compiere una vasta gamma di movimenti, ma il più delle volte non ci facciamo nemmeno caso.

Fino a poco tempo fa sembrava impossibile far recuperare il senso del tatto a chi aveva subito una lesione alla colonna vertebrale. Gli scienziati ci sono riusciti raccogliendo i dati tramite i sensori delle protesi robotiche e trasmettendoli ai chip neurali.

Il caso di Ian Bukhart, però, è diverso. Il suo chip è stato impiantato nella corteccia motoria, non in quella somatosensoriale deputata al senso del tatto.

La soluzione del neuroscienziato Patrick Ganzer consiste nel dividere i segnali cerebrali corrispondenti a movimenti volontari da quelli corrispondenti al senso del tatto. I segnali dei movimenti volontari continuano ad essere indirizzati a un gruppo di elettrodi avvolto attorno a un avambraccio di Burkhart; quelli del senso del tatto, invece, vengono indirizzati a una fascia avvolta al braccio.

Per decifrare i segnali del tatto, Ganzer e i suoi colleghi hanno iniziato a stimolare il pollice e l’avambraccio di Burkhart. Osservando i cambiamenti dei segnali durante la stimolazione, hanno distinto quelli più deboli da quelli più forti. In questo modo il software riesce a trasmettere i segnali di movimento alla fascia di elettrodi sull’avambraccio e i segnali tattili alla fascia sul braccio.

Durante i test con la fascia al braccio, Burkhart confermava di sentir toccare un oggetto con una precisione quasi perfetta, anche senza vederlo. All’inizio questa fascia era un semplice dispositivo per la vibrazione, ma poi Ganzer e i suoi colleghi lo hanno migliorato: ora la potenza della vibrazione cambia in base alla forza che Burkhart esercita sugli oggetti.

Non è di certo come un normale senso del tatto, è diverso, come ha affermato lo stesso Burkhart.

Questo tipo di interfaccia cervello-computer è invasivo, non possiamo aspettarci che la tecnologia venga diffusa presto per un gran numero di quadriplegici. Ma è grazie a persone volontarie come Ian Burkhart che otteniamo progressi.

Il mio obiettivo è di mettere questo [dispositivo] nelle mani di altre persone con paralisi e vedere fino a che punto possiamo spingere la tecnologia“, ha detto Burkhart. “La cosa più grande che mi ha motivato è questa speranza per il futuro.

Dobbiamo essere fiduciosi.

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