I robot e i sistemi di intelligenza artificiale (IA) faranno sempre più parte delle nostre vite. L’interazione con le macchine sul posto di lavoro, in casa e nei negozi diventeranno sempre più frequenti. Per questo il ramo della robotica sociale è importante.
Ma cosa sono i robot sociali e qual è il loro scopo? Su Robohub c’è un articolo di Thosha Moodley che aiuta a comprendere meglio la funzione della robotica sociale. L’ho riportato qui di seguito.
Cos’è un robot sociale?
Mi piace di più la definizione che descrive i robot sociali come i robot per i quali l’interazione sociale svolge un ruolo chiave. Le abilità sociali dovrebbero essere necessarie per i robot per consentire loro di eseguire una funzione. Un’indagine sui robot socialmente interattivi definisce alcune caratteristiche fondamentali di questo tipo di robot. Un robot sociale dovrebbe mostrare le emozioni, avere capacità di conversare ad un livello avanzato, comprendere i modelli mentali dei loro partner sociali, formare relazioni sociali, fare uso di segnali di comunicazione naturale, mostrare personalità e imparare le capacità sociali.
“Understanding Social Robots” offre un altro punto di vista interessante su cosa sia un robot sociale: robot sociale = robot + interfaccia sociale.
In questa definizione, il robot ha il suo scopo al di fuori dell’aspetto sociale. Ad esempio, dei robot per l’assistenza, i robot nelle nostre case, robot per il servizio clienti in un aeroporto, per il punto informazioni di un centro commerciale o un robot cuoco in una mensa. L’interfaccia sociale è semplicemente una sorta di protocollo di familiarità che ci rende facile comunicare in modo efficace con il robot. I segnali sociali ci possono dare qualche idea dell’intenzione di un robot. Per esempio, spostare lo sguardo verso una scopa indica che il robot è in procinto di cambiare attività, anche se potrebbero non avere occhi nel senso classico.
Questi indicatori di capacità sociale possono essere utili come le effettive capacità sociali dei driver nel robot. Come gli studi dimostrano, i bambini sono in grado di proiettare le capacità sociali su semplici oggetti inanimati, come una calcolatrice. Un burattino diventa un partner sociale animato durante il gioco. Allo stesso modo, i robot devono solo avere l’aspetto di socievolezza per essere trasmettitori efficaci. “An Ethical Evaluation of Human–Robot Relationships” conferma questa idea. Abbiamo un bisogno di appartenenza che ci induce a formare connessioni emotive con gli esseri artificiali e a cercare un significato in queste relazioni.
Come dovrebbero apparire i robot sociali?
Nel 1970 Masahiro Mori ha definito la teoria dell’Uncanny Valley in un articolo su questo argomento. Descrive gli effetti dell’aspetto del robot e del movimento del robot sulla nostra affinità con il robot. In generale, sembra che preferiamo di più i robot che somigliano agli umani e meno ai robot. C’è un certo punto in cui i robot somigliano sia agli umani sia ai robot e ci confondiamo nel categorizzarli. Questa è l’Uncanny Valley, dove l’aspetto dei robot sembra molto umano, ma anche un po’ “sbagliato” e ci mette a disagio. Se l’aspetto del robot supera quel punto, la simpatia cresce notevolmente.
In “Navigating a social world with robot partners: A quantitative cartography of the Uncanny Valley” apprendiamo che c’è un simile effetto tra l’aspetto del robot e la sua affidabilità. I robot che hanno mostrato maggiori emozioni positive erano anche più piacevoli. Quindi sembra che i robot che somigliano più agli umani procurino più fiducia e simpatia.
A questo punto, pensiamo che i robot sociali dovrebbero essere umanoidi o dall’aspetto robotico. Ma quali altre forme possono avere i robot? Il robot dovrebbe avere almeno un volto che gli conferisca un’identità e che lo renda un individuo. Inoltre, con una faccia è possibile indicare attenzione e imitare il partner sociale per migliorare la comunicazione. Gran parte dei segnali non verbali sono trasmessi attraverso il volto e creano un’aspettativa su come relazionarsi con il robot.
L’aspetto dei robot può aiutare a stabilire le aspettative delle persone su cosa essi dovrebbero essere in grado di fare e limitare queste aspettative ad alcune funzioni mirate che possono essere realizzate più facilmente. Ad esempio, ci si può aspettare che un robot barista sia capace di intrattenere una buona conversazione e di servire drink, ricevere il pagamento, ma probabilmente va bene anche se può parlare una sola lingua visto che deve adattarsi solo al contesto nel quale si trova.
In “Why Every Robot at CES Looks Alike” apprendiamo che la testa voluminosa e rotonda di Jibo è progettata per imitare le proporzione di un giovane animale o umano per renderlo più accattivante. Ha un occhio per evitare di innescare l’effetto Uncanny Valley sembrando troppo robotico e umano allo stesso tempo. Inoltre, l’apparire troppo umano crea l’impressione che il robot risponderà come un essere umano, ma non ne è ancora in grado.

Un altro interessante esempio è Robin, un robot Nao usato per insegnare ai bambini con diabete come gestire la loro malattia. La spiegazione data ai bambini è che Robin è un bimbo. I bambini usano questo ruolo per spiegare ogni imperfezione nelle capacità di linguaggio di Robin.
Diversi livelli di interazione sociale per i robot
Un’indagine sui robot socialmente interattivi contiene alcuni concetti utili per definire i livelli di comportamento sociale nei robot.
- Socialmente evocativi. Non mostrano nessuna capacità sociale, ma fanno affidamento alla tendenza umana di proiettare capacità sociali.
- Interfaccia sociale. Imitano le norme sociali, senza però essere guidati da queste.
- Socialmente ricettivi. Comprendono abbastanza bene gli input sociali per imparare tramite l’imitazione, ma non vedono il contatto sociale.
- Socievoli. Hanno driver sociali e cercano il contatto sociale.
- Socialmente collocati. Possono funzionare in un ambiente sociale e possono distinguere tra entità sociali e non sociali.
- Socialmente integrati. Sono a conoscenza delle norme e dei modelli sociali.
- Socialmente intelligenti. Mostrano livelli umani di comprensione e consapevolezza sociali basati sui modelli della cognizione umana.
Chiaramente, il comportamento sociale è sfumato e complesso. Ma tornando ai punti precedenti, i robot sociali possono comunque rendersi efficaci senza raggiungere i più alti livelli di abilità sociale.
L’effetto dei robot sociali su di noi
Per concludere, de Graaf pone una domanda che stimola la riflessione:
“Come faremo a condividere il nostro mondo con queste nuove tecnologie sociali, e come una futura società robotica cambierà chi siamo, il modo in cui agiamo e interagiamo – non solo con i robot, ma anche con gli altri?”
Sembra che innanzitutto modelleremo i robot secondo i nostri schemi e bisogni umani. Ma non possiamo fare a meno di essere cambiati come individui e come società quando in futuro aggiungeremo uno strato più sofisticato di partner robotici sociali.
Robotica sociale: alcuni esempi
L’articolo di Thosha Moodley spiega in modo essenziale cos’è un robot sociale e qual è il suo ruolo. I robot sociali sono macchine in grado di interagire con gli umani in modo autonomo e nel rispetto delle norme del contesto in cui operano. Il contesto influisce molto sul raggio d’azione di una macchina sociale. Questo perché per essere definiti tali, i robot sociali devono rispettare e condividere con noi regole e valori. Ma le regole e i valori cambiano in base alle culture. Dunque i robot sociali possono mostrare aspetti e comportamenti diversi in base al contesto culturale nel quale sono inseriti.
Forse un discorso generale lo si potrebbe fare sull’aspetto estetico dei robot. Secondo le ricerche menzionate dall’autrice, l’effetto Uncanney Valley gioca un ruolo cruciale nelle nostre interazioni con le macchine. Più queste sono simili a noi e meno ci sentiamo a disagio nel comunicare con loro. Un esempio di robot dall’estetica somigliante molto a quella umana è Chihira di Toshiba. Ma ci sono anche robot che hanno poco di umano e che tuttavia suscitano simpatia e cordialità.
Alcuni di questi robot sono già in vendita o sono al lavoro in alcuni negozi. Il robot Pepper, ad esempio, in Giappone è attivo in circa 500 aziende, tra cui Nestlé e la banca Muzuho. E pensare che inizialmente era stato progettato per rimanere all’interno del nucleo familiare. A quanto pare, le sue componenti sociali lo rendono adatto anche per alcune attività all’interno di negozi e aziende.
Anche Romeo è un robot interessante da questo punto di vista. Si tratta di un robot che è stato progettato per la ricerca sull’assistenza di anziani e disabili. In futuro potrebbe essere adottato per aiutare le persone che purtroppo non sono più indipendenti. Si tratta di un contesto delicato dove un robot sociale non deve solo attenersi alle norme, ma anche gestire con attenzione situazioni complesse.
Un giorno vivremo fianco a fianco con un robot come se fosse tutto normale? Forse sì. Intanto i recenti progressi nell’ambito della robotica e dell’intelligenza artificiale ci suggeriscono che l’automazione dei processi e delle attività continua a crescere sempre più.
Foto copertina: Flickr