Quali saranno le tecnologie del 2036? Stavolta le previsioni sul nostro futuro tecnologico le hanno fatte persone comuni. 2.088 americani hanno partecipato a un sondaggio commissionato da London & Partners e condotto da MG Insight/ YouGov. Secondo un quarto dei partecipanti, nel 2036 i robot saranno più numerosi degli umani. La maggior parte, inoltre, si aspetta droni che consegneranno pizza a domicilio, medici che lavoreranno con la realtà virtuale, veicoli autonomi che la faranno da padrone per le strade, cloni umani e molto altro ancora.
Il sondaggio, avvenuto lo scorso giugno, è stato preparato prendendo spunto da alcune previsioni formulate dal gruppo di ricerca del Tech Foresight dell’Imperial College London. I risultati mostrano come gli americani immaginano le tecnologie del 2036. I tecnici hanno raggruppato le risposte in “Probabile”, “Non probabile” e “Non lo so” per fornire un quadro generale delle opinioni. Diamo un’occhiata.
Risultati interessanti, vero? Ne ho approfondito qualcuno che ho ritenuto più intrigante rispetto agli altri. Non è un caso, infatti, se alcune previsioni sono state ritenute più realitische rispetto ad altre. Le notizie degli ultimi mesi sui veicoli autonomi, sull’intelligenza artificiale e sulle potenzialità e i rischi delle tecnologie digitali potrebbero aver influenzato le nostre opinioni.
Ma nello specifico, per quanto riguarda le tecnologie del 2036, quali sono state le opinioni degli intervistati?
I droni che consegnano la pizza saranno la normalità
Non stupisce che questa sia una delle previsioni più condivise dai partecipanti. Aziende come Google e Amazon, infatti, negli ultimi tempi hanno manifestato il desiderio di sviluppare dei droni fattorini. Google con Project Wing, Amazon con il servizio Prime Air: sono progetti che hanno buone possibilità di concretizzarsi, regolamenti permettendo.
Ecco perché non sorprende più di tanto che il 66% degli intervistati ritenga che in futuro i droni consegneranno pizze ogni giorno. Possediamo già la tecnologia giusta, in teoria. Ma molto dipende dai governi e dalla questione della sicurezza. Se un drone dovesse cadere mentre è in volo per un guasto improvviso o un ostacolo potrebbe essere molto pericoloso.
L’americana FAA (Federal Aviation Administration) sta lavorando sulla redazione delle regole per i droni commerciali. Tali normative entreranno in vigore proprio questo agosto: è ancora presto per poter vedere droni che consegnano pizze, ma la strada ormai è segnata e fra 20 anni la situazione potrebbe evolversi positivamente.
L’uso dei droni cresce ogni anno che passa. Tra le tecnologie del 2036, droni che svolgono diverse attività in diversi settori sono facili da immaginare.
Ancora più cyborg?
Nonostante i partecipanti non fossero numerosissimi, i biohacker e i transumanisti possono sorridere speranzosi per questo risultato: il 49% crede che i dispositivi di comunicazione verranno comunemente impiantati nel corpo. Stiamo parlando di strumenti come microchip sotto pelle che ci permetteranno di comunicare con gli altri, di controllare diversi oggetti (internet delle cose), di monitorare ogni aspetto della nostra salute, di fare acquisti e vendite online e nei negozi, eccetera.
A proposito di chip sottocutanei, in America c’è Zoltan Istvan che si è candidato per le elezioni americane: promuove ideali transumanisti e anche lui ha un chip identificativo nella mano che gli permette di aprire le porte di casa e dell’ufficio e di memorizzare informazioni. Che sia riuscito in qualche modo a incuriosire gli elettori? Probabile, ma oggi ci sono ancora parecchie persone che hanno brividi al solo pensiero di farsi impiantare simili tecnologie.
Eppure nel mondo i cyborg sono ovunque, come sostiene Chris Hables Gray. Una persona con un impianto cocleare o un bypass può essere definita un cyborg, da un certo punto di vista. Le braccia bioniche di Les Baugh lo rendono un cyborg. Tra 20 anni, forse, ce ne saranno di più perché incorporeremo queste tecnologie non solo per combattere disabilità, ma anche per potenziare le nostre capacità fisiche e mentali.
I veicoli autonomi surclasseranno quelli tradizionali
Fate spazio alle auto intelligenti. Il 60% degli intervistati ritiene che per le strade ci saranno più veicoli autonomi rispetto a quelli classici. I benefici della convenienza in termini di costi, minor traffico e più rispetto dell’ambiente sembrano cominciare a convincere. E il mercato di questo settore sta crescendo sempre di più. Basta dare una rapida occhiata alle aziende che stanno investendo per produrre la tecnologia più all’avanguardia: Google, Tesla, Audi, BMW, Kia e chi più ne ha più ne metta.
Ma non si tratta di un percorso scontato come potrebbe sembrare: la regolamentazione, anche qui, dovrà tenere conto di diversi fattori. Uno in particolare: di chi è la responsabilità in caso di incidente? Di chi ha attivato l’auto, dell’azienda produttrice del veicolo o di chi ha sviluppato la tecnologia che è venuta meno ai suoi doveri?
Sarebbe stato interessante verificare un cambio d’opinione in conseguenza all’incidente che ha causato la morte di un uomo a bordo di una Tesla con autopilota attivo. Il sondaggio è stato fatto a giugno, un mese prima dell’incidente. Autopilota non è sinonimo di veicolo autonomo, ma rientra in quelle tecnologie che sostituiscono un’attività umana. Proprio per questo, una vicenda del genere (che deve essere ancora chiarita del tutto) avrebbe potuto influenzare l’opinione degli intervistati. Una cosa è certa: come le auto senza pilota affronteranno i problemi morali è una questione che va affrontata in fretta e con le dovute attenzioni.
Tornando alla previsione: ci sono diversi fattori che incideranno sul futuro delle driverless car. Innanzitutto il prezzo: veicoli autonomi costosi non incentivano all’acquisto, questo è poco ma sicuro. Poi la fiducia: se le persone si fideranno sempre più di queste tecnologie, allora è più facile assistere alla loro diffusione. In questo caso, la fiducia va a braccetto con la sicurezza. E infine i gusti personali: mi è capitato di sentire alcune persone dire che preferirebbero avere le mani sul volante, essere i padroni della situazione, gustarsi il piacere della guida. Magari tra le tecnologie del 2036 avremo veicoli che diventeranno autonomi solo quando lo desidereremo. Mica male?
Stamperemo organi umani
Alla faccia di chi dice che la stampa 3D è stata o che è un fallimento. Il 54% degli intervistati ritiene che la stampa 3D verrà usata anche per stampare organi umani. Non sono dei matti. Forse hanno sentito parlare delle ultime notizie sulla possibilità di usare la stampa 3D per produrre tessuti. Si adottano le cellule vive come “inchiostro”, si assemblano strati sovrapposti ed ecco che un organo inizia a prendere forma.
Certo, detto così sembra una passeggiata. Ma provo a fare qualche esempio che magari potrà convincere i più scettici ad aprire almeno un occhio.
Ricercatori cinesi e americani hanno sviluppato una tecnica di stampa 3D di corpi embrioidi: ha permesso alle cellule di vivere e auto-rinnovarsi per 7 giorni senza alterare la loro capacità di pluripotenza. Un passo importante per la medicina rigenerativa.
Lo studio MHOX, invece, sta studiando un modo per stampare in 3D gli occhi entro il 2027. E non si tratta solo di aiutare le persone che hanno problemi agli occhi a causa di una malattia o un incidente; i ricercatori sperano di dare la possibilità di potenziare la propria vista anche se non si hanno particolari problemi.
Alla Wake Forest University, invece, hanno già impiantato pelle, orecchie, ossa e muscoli artificiali su animali da laboratorio. I tessuti sono cresciuti senza problemi: un vero successo.
La stampa 3D applicata nel settore della medicina potrebbe eliminare la necessità della donazione di organi umani. Niente più liste di attesa lunghe chilometri e meno possibilità che le persone perdano la vita aspettando un organo compatibile. Ci vorrà tempo prima che riusciremo a stampare un organo in 3D: è complicatissimo. Le stampanti di organi forse non faranno parte delle tecnologie del 2036. Ma meritano attenzione: il progresso scientifico può sorprenderci.
Pagare senza contanti sempre più un’abitudine
Negli Stati Uniti ci sono alcuni servizi mobile, come Venmo e Square Cahs, che consentono di condividere affitti mensili o di rimborsare gli amici per l’acquisto di biglietti per il cinema. È una tecnologia che viene adottata sempre di più insieme al mobile banking. Quindi anche in questo caso non dovremmo meravigliarci se il 69% degli intervistati crede che i contanti verranno sostituiti dai sistemi di pagamenti digitali.
In quest’ambito gli americani sono persino dietro gli europei e a stati come il Giappone, il Canada e il Kenya. Uno dei principali motivi di questo freno, secondo diversi studiosi, è la preoccupazione per la propria sicurezza e privacy. Come biasimarli? Dopo tutto quello che è successo con lo scandalo Datagate, gran parte dei cittadini americani presta maggiore attenzione sui dati digitali personali. Inoltre, non bisogna sottovalutare la volontà dei rivenditori e delle banche. Queste ultime hanno un’influenza non indifferente.
Magari tra le tecnologie del 2036 ci saranno anche metodi pagamenti digitali molto comodi. Ma la priorità sarà renderli sicuri. Difficile, ma non impossibile.
Intelligenza artificiale, vacci piano!
Siri, Cortana, Amazon Eco sono solo una minima parte di ciò che ci potrà offrire l’intelligenza artificiale (IA). Questa tecnologia deve fare ancora molta strada: lo sanno gli esperti e lo stanno apprendendo anche i più entusiasti. Gli intervistati credono che tra 20 anni l’IA non avrà l’impatto che una crescita esponenziale può prefigurare. Infatti, solo il 39% pensa che nel 2036 un’IA possa essere alla guida di una grande azienda. In effetti, per gestire una grande società, oltre al calcolo che i computer eseguono già molto bene, ci vogliono abilità analitiche e decisionali che richiedono un certo tipo di intelligenza emotiva. Venti anni sono troppo pochi? Vedremo.
Altro dato interessante sull’IA riguarda la possibilità di instaurare relazioni affettuose/amorose con degli avatar. Sì, proprio così: innamorarsi di un bot o di un sistema operativo all’avanguardia, come capita a Theodore Twombly nel film “Her” (ne consiglio la visione). Ebbene: il 35% dei partecipanti crede che entro il 2036 le fidanzate e i fidanzati artificiali saranno la normalità. In questo caso, forse possiamo considerarla una percentuale abbastanza alta. Io mi sarei aspettato qualcosa di meno, e tu?
Se ti stai chiedendo “Ma come è possibile innamorarsi di un’IA?”, provo a darti una risposta. Considera che negli ultimi anni molte relazioni amorose sono nate, cresciute e, perché no, morte dietro degli schermi. E continua ad essere così. A volte è indispensabile per mantenere un rapporto a distanza, altre volte subentrano fattori sociali e psicologici che spingono le persone a “non farsi vive”: bassa autostima, disprezzo per il proprio aspetto fisico, paura di deludere, incapacità di comunicare e così via. Ecco perché la teoria secondo la quale un giorno ci sarà la possibilità di innamorarsi di chatbot o di avatar nella realtà virtuale non è poi così surreale.
A prescindere dai risultati e dalle opzioni del sondaggio, l’IA in futuro farà grandi progressi. Tra le tecnologie del 2036 sarà forse quella che è stata perfezionata più di tutte.
Vestiti intelligenti
Qui mi aspettavo una percentuale un po’ più alta. Da 5 anni a questa parte, non ho mai avuto la sensazione che si smettesse di parlare per un attimo di tecnologia indossabile, i cosiddetti wearables. Smartwatch, bracciali, collane, anelli, fasce che monitorano i dati sulla tua salute e ti danno persino consigli su come e quando svolgere attività fisica. Siamo invasi. E “solo” il 56% degli intervistati prevede che tra 20 anni le persone indosseranno regolarmente vestiti connessi a internet. Forse non tutti erano consapevoli delle opportunità di una simile tecnologia. Penso ai ragazzini e alle ragazzine più sbadati/e che spesso non trovano i propri calzini o le proprie calze. Ci pensa internet a ritrovare tutto, non disturbate la mamma che è già stressata per i fatti suoi!
Provo ad essere un po’ più serio ora: diversi designer stanno progettando abbigliamento intelligente sperando di lanciare nuove mode. Ad esempio, stanno lavorando a dei copricapi che leggono l’attività cerebrale dell’indossatore e modificano la loro forma e il loro colore in base alle emozioni o all’umore, tipo NEUROTiQ. Altra ultima tendenza sembra essere quella di fornire le giacche di strumenti tecnologici come fotocamera, caricabatterie per dispositivi e regolatore di temperatura, senza rovinare l’estetica. La moda è pur sempre business, per questo mi aspettavo più un 65%.
Visite mediche con la realtà virtuale
La realtà virtuale è una delle tecnologie del momento, destinata a crescere e ad essere applicata in diversi settori. Ha ancora bisogno di essere migliorata, ma le sue potenzialità hanno ormai suscitato grande curiosità. Nessuna sorpresa, quindi. Il 65% degli intervistati crede che nel 2036 potremo farci visitare dal medico generale tramite la realtà virtuale. Impossibile? Forse in Italia siamo meno abituati, ma in America alcuni pazienti possono farsi visitare anche tramite una videochiamata con webcam o con uno strumento per teleconferenze.
Un esempio vale più di mille parole. Teladoc è un fornitore di servizi di telemedicina americano abbastanza noto. Permette ai medici di visitare i loro pazienti da remoto: nel 2015 hanno effettuato 575.000 tele-visite. Un numero impressionante: significa che funziona davvero.
Se tra 20 anni non saremo ancora in grado di fare visite mediche in realtà virtuale, speriamo almeno che questo strumento possa essere utile per educare i futuri medici. Il maggiore ostacolo, in questo caso, sono i costi delle tecnologie. Oggi, per esempio, non tutti possono permettersi un visore supportato da un potente computer. Se vogliamo davvero che la realtà virtuale diventi anche uno strumento per farsi visitare dai medici, allora dovremo trovare un modo di sviluppare tecnologie accessibili.
Qualche dubbio potrebbe sorgere anche sulla mancanza di contatto tra medico e paziente. Ed è vero soprattutto se non potremo contare su tecnologie sofisticate. In tal caso, sarebbe utile essere affiancati da un telerobot che monitori la nostra salute e che trasmetti i dati al dottore, così che possa avere un quadro generale della nostra situazione prima di visitarci.
Anche secondo Kevin Kelly tra 20 anni la realtà virtuale sarà davvero una forza. Forse tra le tecnologie del 2036 previste dal sondaggio, la realtà virtuale sarà quella con applicazioni più concrete. Speriamo anche che Kelly abbia fatto bene i suoi calcoli.
Clonazione umana
Dulcis in fundo, un dato che dovrebbe davvero farci riflettere. Gli intervistati hanno avuto difficoltà a immaginare un mondo in cui un’IA sarà a capo di un’azienda, in cui umani e bot instaureranno relazioni di amicizia e d’amore, in cui un vestito potrà comunicare di tutto e di più. Ma, allo stesso tempo, ritiene probabile che tra 20 anni cloneremo il primo essere umano. D’altronde lo abbiamo già fatto con una pecora, cosa ci vorrà mai di così avanzato per farlo anche con un essere umano?
Il 52% dei partecipanti ritiene che nel 2036 nascerà il primo clone umano. Qui mi aspettavo meno del 50% visto che in casi del genere i problemi etici hanno un’enorme influenza sulle nostre opinioni. E invece… Forse perché si tratterà pur sempre di una vita umana e non delle fredde e insensibili macchine. Oppure perché il clone umano che arriverà tra 20 anni probabilmente non sarà il proprio clone. Sarà quello di qualcun altro, quello di una persona a cui non siamo emotivamente legati. E allora l’impressionabilità cala.
Il National Genome Research Institute sostiene che clonare un essere umano è molto più difficile di clonare un qualsiasi altro mammifero da un punto di vista tecnico. Anche se avremo a disposizione tutta la tecnologia necessaria, ci saranno sempre problemi di natura etica e morale. Inoltre, non per smorzare l’entusiasmo di chi ha voglia di avere a che fare con il proprio clone, la clonazione ha una percentuale di successo molto bassa: solo l’1% dei tentativi genera un animale autosufficiente. Qui di strada da fare ce n’è proprio parecchia. Difficile che la clonazione dunque sarà tra le tecnologie del 2036.
Benché 2.088 americani adulti siano un piccolo campione se paragonato alla popolazione di una nota città o di uno stato degli USA, questa intervista andrebbe presa come modello per condurne altre simili. Conoscere la sensibilità e le opinioni delle persone comuni sull’innovazione tecnologia digitale che sta cambiando e cambierà sempre di più le nostre vite è importante quanto essenziale.
La distanza temporale, inoltre, è un altro fattore che influenza le opinioni. Questo sondaggio era incentrato sulle possibili tecnologie del 2036. Se avessero chiesto i pareri sulle stesse tecnologie, ma considerando un arco temporale maggiore, forse avremmo risultati diversi.
E tu che ne dici? C’è qualche risultato che ti ha sorpreso o grosso modo le opinioni degli intervistati hanno rispettato le tue aspettative? Come immagini le tecnologie del 2036? Fammelo sapere e parliamone.
Altre fonti:
Discover Magazine
Tech Insider