Studiare le relazioni che nascono tra umani e robot all’interno delle società è importante. Lo sostiene anche lo scrittore e filosofo portoghese Luis de Miranda in un’interessante intervista condotta da Robohub.

Di recente, Luis de Miranda ha creato una piattaforma interdisciplinare chiamata Anthrobotics Cluster dove i ricercatori possono discutere dei rapporti che intercorrono tra umani, robot e sistemi intelligenti. La piattaforma è una sorta di piazza virtuale dove le idee di informatici, sociologi e roboticisti si incontrano. Così vengono alla luce confronti che aiutano a comprendere meglio le dinamiche e gli impatti sociali che derivano dalle interazioni tra umani e macchine.

Nell’intervista, che ho riportato qui sotto, Luis de Miranda ci spiega l’utilità dell’antrorobotica, non solo concepita come lo studio e lo sviluppo di robot dall’aspetto umano, ma come un approccio allo studio di sistemi ibridi: umano e macchina insieme.

Una breve premessa prima che inizi la lettura: il filosofo ha adottato il termine “humachine” che descrive l’unione tra uomo e macchina. Per rendere la lettura più fluida e la traduzione il più fedele possibile, ho deciso di non tradurre né sostituire la parola. Per quanto riguarda invece il termine “anthrobot“, che evoca l’unione tra elementi umani e robotici, ho deciso di mantenere un collegamento con “antrorobotica”, per cui ho adottato la parola “antrorobot”. Magari andava bene anche antrobot, ma si tratta di una disciplina dai tratti non ancora del tutto delineati. Se hai dei materiali italiani in cui ci sono descrizioni sull’antrorobotica concepita da Luis de Miranda, sarò felice di darci un’occhiata.

Bene, qui sotto trovi l’intervista.

Una filosofia sulla nostra relazione con le macchine


Che cos’è l’Anthrobotics Cluster? Come è venuto fuori?

Ho creato l’Anthrobotics Cluster all’Università di Edimburgo quest’anno e ho convinto ad unirsi alcuni ricercatori provenienti da diverse discipline – robotica, informatica, scienze sociali e umane. È pensato per essere un think tank sulla diffusione sociale della robotica e anche su come l’automazione sia parte della definizione di cosa sono sempre stati gli esseri umani.

Ho iniziato a pensare all’antrorobotica nel 2015, quando stavo scrivendo i primi capitoli della mia tesi per il dottorato di ricerca sullo spirito di corpo. Mi sono reso conto che, come aveva già suggerito Lewis Mumford ne “Il mito della macchina“, le istituzioni umane sono una forma di collettivo di robot. La divisione del lavoro, i protocolli, i rituali, l’automazione sono parte del DNA concettuale del collettivo “humachine“. Siamo robot sociali, in una certa misura.

Ma vedo l’antrorobotica come una tabula rasa per nuove ricerche. È un concetto che ha ancora bisogno di essere definito, esplorato, investigato. Mi piacerebbe pensarlo un “come se”, come lo ha definito Vaihinger in “The Philosophy Of ‘As If‘”. E se noi esseri umani fossimo anthrobot?

Potresti definire “spirito di corpo”? E questo come rientra nella tua ricerca sull’antrorobotica?

Lo spirito di corpo [esprit de corps] era originariamente un termine francese, poi adottato dall’inglese. È ampiamente usato nei discorsi nelle aziende globali e anche in politica. L’espressione qualifica la forte unità e la coesione di un gruppo. La mia tesi di dottorato è sulla prima genealogia del termine, dalla sua nascita nel discorso militare nella fine del XVII secolo, con i moschettieri francesi, fino ad oggi, dove i media inglesi parlano quotidianamente di spirito di corpo.

Se si inizia a pensare alle società umane come un collettivo di robot può sembrare una metafora, ma penso che sia più di una metafora. Non dobbiamo mai dimenticare che l’etimologia di “robot” è lavoro forzato, e lavoro forzato è ciò che storicamente riguarda gli umani (e ciò da cui desiderano liberarsi). Questo potrebbe cambiare in futuro. Per esempio, attualmente c’è un gran parlare di automazione e di reddito universale di base.

Qual sfide prevedi per garantire che le innovazioni tecnologiche vadano di pari passo con le esigenze e le aspettative della società?

L’ingegneria e la filosofia dovrebbero andare di pari passo. Tutto ciò che costruiamo è fatto in base a una rete di credenze, una serie di valori che possono essere sia consci sia inconsci. Per esempio, se pensi che gli individui siano entità con libero arbitrio che tendono sempre a massimizzare il loro interesse personale, non concepirai un sistema multiagente se ti rendi conto che siamo più macchine sociali determinate che appartengono a gruppi più o meno visibili che modellano le nostre scelte. Bourdieu lo ha mostrato molto bene ne “La distinzione“.

Oggi anche i big data dimostrano chiaramente la nostra prevedibile psicologia. Non sto dicendo che siamo completamente determinati, ma la libertà è certamente qualcosa di molto più difficile di quello che pensiamo. Ho pubblicato un libro su questa materia, in francese: “L’Art d’être libres au temps des automates” [“L’arte di essere liberi in un tempo di automi”]. Se il XX secolo era il secolo della globalizzazione, credo che il XXI secolo sarà il secolo dei robot e delle macchine sociali. Questo non significa che sono del tutto nuovi, significa solo che il nostro divenire antrorobotici ora è manifesto è consapevole.

La mia proposta e la mia ipotesi sono quelle di considerare la relazione tra umani e robot come un’unità, forse una forma di simbiosi. Dobbiamo guardare alla storia per evitare di cadere nelle paure irrazionali o in un fascino disinformato per il nuovo. L’antrorobotica ha a che fare con la scienza politica e non solo con la tecnologia.

Come ha fatto il tuo libro “L’art d’être libres au temps des automates” a inspirare il tuo interesse nella robotica e nella società, e a collegarsi al tuo lavoro attuale?

Il mio libro è iniziato come una storia culturale e filosofica dei computer (la chiamo “histosophy“). In Francia un computer viene chiamato ordinateur, nominato e amministrato da una vasta comunità. Un ordinator [coordinatore] è anche quello che dà gli ordini. Lo storico Adolf Gasser spiegò che la vita in una comunità, qualsiasi comunità – potrebbe essere uno stato – è possibile solo all’interno di un principio di coordinamento o di ordinamento.

I due principi fondamentali per l’ordine politico sono la subordinazione e la coordinazione. Mentre ricercavo negli archivi del MIT e scrivevo il mio saggio, compresi che gli umani hanno un duplice carattere: sono sia coordinatori sia creatori. I computer riflettono solo il nostro lavoro di coordinamento cartesiano. E per quanto riguarda la creazione, penso che gli esseri umani siano molto più curatori del flusso cosmico delle possibilità invece che creatori puri (questa è quella che chiamo ipotesi Creal), ma possiedono ancora la libertà esistenzialista – o crealista – per coordinare al fine di lasciare che nuovi protocolli, nuove regole emergano e vengano adottati.

Stai lavorando sia con un roboticista sia con un informatico. Da filosofo, queste altre due discipline come completano la tua ricerca?

Il rischio della pura filosofia è di cadere nell’eccessiva metafisica senza alcun collegamento pragmatico al mondo reale. Lavorare con Ram Ramamoorthy, un membro esecutivo del Center of Robotics di Edimburgo, e con Michael Rovatsos, direttore del Center for Intelligent Systems and their Applications, mi impedisce – o almeno dovrebbe – di essere auto-indulgente e di giocare con le parole senza alcuna forma di prospettiva, esempi ed esperienza concreta. In futuro l’antrorobotica dovrebbe essere in grado di modificare il modo in cui progettiamo i sistemi automatizzati.

Hai un workshop internazionale previsto per il 2017. Puoi dirci qualcosa di più a riguardo?

Ci stiamo ancora lavorando, ma abbiamo in programma di ospitare il workshop intorno alle date del popolare European Robotics Forum (ECR 2017) che si terrà ad Edimburgo a marzo. Stiamo collaborando con lo Human Centred Computing Research Group presso l’Oxford Department of Computer Science. Il tema generale potrebbe essere l’antrorobotica come unità, e glia automi sociali come anthrobot.

Secondo il roboticsta Rodney Brooks, la distinzione tra noi e i robot scomparirà nei prossimi decenni (“Robot: The Future of Flash and Machine“, 2002). Siamo preparati teoricamente e socialmente per una tale unione? Il continuo spettacolare sviluppo e diffondersi della robotica, dell’intelligenza artificiale o dell’ingegneria genetica induce cambiamenti pervasivi e radicali nelle nostre vite e nei nostri sistemi sociali. Ram, Michale ed io – come la crescente comunità di ricercatori nel mondo che ora si sta connettendo con il nostro Anthrobotics Cluster – desideriamo esplorare l’antrorobotica senza un’ideologia a priori, ma con un semplice prisma metodologico: dalla prospettiva di unità, dove gli umani e le macchine sociali sono concepiti come un tutt’uno piuttosto che come opposti.

Potrebbe essere che infatti questa unità antrorobotica sia più vecchia di quella che pensiamo come suggerito, tra gli altri, dallo stesso Lewis Mumford? Come può una prospettiva antrorobotica impattare il design e le riflessioni attuali? Come possiamo definire l’antrorobotica in modo più preciso? Come possono gli ingegneri progettare automi avendo più consapevolezza dei valori presupposti dei loro protocolli? Come possiamo sormontare il discorso etico verso un’elaborazione più olistica e politicamente creativa dei dati e dei compiti?

Quali sono le prospettive per te? Ci puoi lasciare con i tuoi pensieri su come vedi l’antrorobotica?

Ram, Michael ed io stiamo scrivendo un articolo sull’antrorobotica che presenteremo in ottobre all’Aarhus International Conference sulla robotica sociale. Il titolo provvisorio è: “We, The Anthrobot: Learning From Human Forms of Interaction and Esprit de Corps to Develop More Diverse Social Robotics” [Noi, gli anthrobot: imparare dalle forme umane di interazione e di spirito di corpo per sviluppare una robotica sociale più diversificata”]. Ecco una copia del sommario:

“Questo documento considera il sistema Umano-Robot come una realtà coordinata Giano bifronte. Proponiamo di chiamare questo sistema ibrido anthrobot e il relativo approccio antrorobotica. La prospettiva antrorobotica non appartiene solo all’attuale ricerca transdisciplinare sul divenire sociale della robotica, ma contempla anche un orizzonte pratico nella concezione e implementazione futura dell’automazione socialmente sana.

Metodologicamente, l’antrorobotica è la scelta di considerare l’unità umano-macchina piuttosto che le realtà separate (gli umani da un lato e le macchine dall’altro). L’implicazione di questa posizione metodologica è che dovremmo concepire il processo della comprensione e della progettazione dei sistemi antrorobotici come fondamentalmente basati sul loro carattere ibrido, e di vedere la loro intenzionalità e intelligenza in un modo che comprende l’attività umana e il suo potenziamento o la sua mediazione attraverso strumenti tecnologici.

Gli antrorobot che precedono l’età del computer, come organizzazioni, istituzioni, stati nazionali, ecc. non solo forniscono progetti su cui, digitalmente o roboticamente, nel senso stretto del termine, possono essere modellati sistemi collettivi socio-tecnici potenziati. Ci permettono anche di sviluppare nozioni di ‘sani’ antrorobot considerando come le loro esistenti controparti non tecnologiche riescono a fornire una serie di protocolli sociali che permettono agli individui e ai gruppi di assumere e incarnare diverse forme di azione che consentono di raggiungere i loro obiettivi e loro aspirazioni. Questo documento esaminerà 4 tipi di interazione umana collettiva che aiutano a gettare le basi concettuali e metodologiche per stabilire se possiamo imparare dai collettivi umani a progettare antrorobot più sani.

Molti sistemi che troviamo intorno a noi consistono in combinazioni in continua evoluzione di umani e robot, dove il secondo termine deve essere interpretato in senso lato. Licklider definì questo accoppiamento stretto una simbiosi uomo-computer, usando una metafora biologica per descrivere questo ‘vivere insieme in un’associazione intima, o in un’unione ancora più vicina’. Oggi questa distinzione deve essere ridefinita. Diverse metodologie progettuali sono state messe in campo nell’ideazione del nostro divenire antrorobotico, andando dalla teorie dei giochi e dall’analisi del comportamento organizzativo fino al ‘crowdsourcing’ e alle considerazioni associate su come le reti si comportano o dovrebbero comportarsi. Ciò che lo rende impegnativo è che il comportamento del sistema antrorobotico nel suo complesso è difficile da prevedere e progettare a causa delle sottigliezze delle preferenze e delle personalità umane, e per le dinamiche accoppiate tra umani e automi.

Guardando oltre questi fenomeni, il nostro scopo è identificare i meccanismi chiave sul come le persone, quando interagiscono con altre persone, riescono a risolvere con efficienza problemi complessi. Ad esempio, perché il problema del chatterbot di Microsoft si presenta così facilmente tra la maggior parte delle persone? Perché le società umane riescono a recuperare dai fallimenti del mercato? Cosa dell’interazione sociale ci rende più intelligenti in termini di interazione rispetto ai nuovi sistemi antrorobotici tecnocentrici che stiamo creando? Possono le interazioni umano-macchina e macchina-umano che sono alla base degli attuali e dei futuri antrorobot digitali essere informati dall’intelligenza esibita dai sistemi di interazione umano-umano, dei quali ora sono molto inferiori?

Inoltre, possono essi fornire arene sociali che autorizzano gli umani e che consentono di farsi plasmare dagli umani in modi adeguati al rispettivo contesto sociale e che sfuggono alla loro attuale diversità-avversione derivante da un eccesso di regolarizzazione e di controllo unilaterale, in modi simili a come riescono a farlo le società democratiche umane? Le relazioni umano-umano non sono caotiche in modo predefinito non perché siamo esseri razionali che calcolano il loro interesse individuale ad ogni piccola interazione con un altro essere umano. Ciò richiederebbe troppa energia cerebrale ed è estremamente difficile in quanto servirebbe un’infinita chiaroveggenza per anticipare i risultati di centinaia di interazioni che abbiamo con altri umani ogni singolo giorno. Ancora, la maggior parte del tempo funzioniamo con l’autopilota, ciò significa che applichiamo le regole abituali e i codici di un gruppo, anche se non sempre potremmo essere consapevoli di quale gruppo sociale facciamo parte.

Questo fenomeno è noto fin dal XVIII secolo con il termine ‘spirito di corpo‘, un’espressione francese che fu immediatamente adottata allo stesso modo dall’inglese. Esaminando gli usi differenti di ‘spirito di corpo’ negli ultimi 3 secoli, Luis de Miranda ha trovato almeno 4 tipi di legami collettivi tipici della nostra modernità.

Il primo tipo di legame collettivo può essere chiamato uno spirito di corpo conformativo. I collettivi conformativi mostrano forte conformità e una forma circoscritta o isolata di solidarietà. Il valore principale dello spirito di corpo conformativo è il dovere e la sua modalità di controllo è la disciplina come la coercizione. È tipico delle comunità basate sulla religione, per esempio.

Il secondo tipo di legame moderno collettivo può essere chiamato spirito di corpo universale, tipico dello stato-nazione e delle democrazie moderne. Lo spirito di corpo universale tende verso una forte conformità, ma anche verso una solidarietà inclusiva ed aperta (in teoria, chiunque può unirsi al gruppo). La sua principale modalità di relazione è il servizio e la sua modalità di controllo è la co-dipendenza, ciò che Durkheim chiamava ‘solidarietà organica’.

Il terzo tipo di legame collettivo può essere chiamato spirito di corpo autonomista. Presenta una forma piuttosto chiusa di solidarietà e la sua guida è l’autonomia piuttosto che la conformità. I suoi valori principali sono l’abilità, la conoscenza, l’arte; e la sua modalità di controllo è la disciplina come la pratica. È tipico delle comunità di interesse, come i club per esempio.

Il quarto tipo di legame collettivo può essere chiamato spirito di corpo creativo, con una guida aperta verso le interazioni e l’autonomia. Il suo carattere relazionale è lo slancio e l’entusiasmo, come per esempio oggi si vede con le startup. La sua modalità di controllo è il divertimento e l’aspettativa.

Naturalmente, come in tutte le forme di classificazione, queste si leggono meglio come tendenze piuttosto che come strutture rigide. Ciascuno di questi gruppi implica interazioni individuali che sono una forma diversa dell’intelligenza umana. L’interesse individuale non gioca il ruolo primario in queste interazioni, oppure, se lo fa, riguarda soprattutto i gruppi con spirito di corpo creativo. Le persone interagiscono più o meno bene nella vita in base alla maggiore o minore presenza di spirito di corpo.

Nella progettazione di un sistema antrorobotico, proponiamo di chiederci se esso è destinato a servire un gruppo universalista, creativo, conformativo o autonomista.

Nei gruppi universalistici, i sistemi standardizzati con poche variazioni funzionano bene perché dovrebbero costruire identicità piuttosto che differenza. Semplice esempio sono i bot per la traduzione. L’inglese è una lingua universale e se siamo favorevoli alla comprensione e alla comunicazione globale non dovrebbero esserci forme diverse di inglese quando viene usata come lingua franca.

Nei gruppi creativi, l’enfasi è sull’operato di ciascun individuo e su una forma di solidarietà meccanica dove ognuno può contribuire allo stesso modo per compiti diversi, secondo una gerarchia orizzontale. L’open source, i sistemi flessibili e la co-progettazione saranno i favoriti.

Nei gruppi con autonomia e solidarietà chiusa la principale interazione sociale avviene attraverso il mestiere inteso in senso lato. Questa è una comunità di pratica, per esempio un paese gestito da cittadini, un club di badminton o una zona temporaneamente autonoma (TAZ).

Nei gruppi con forte conformità e una solidarietà chiusa, dove la principale guida sociale è il dovere, i sistemi hanno bisogno di essere solidi con minime capacità evolutive e una gerarchia forte. Le comunità religiose, per esempio, tendono a morire se si evolvono.

Abbiamo deciso di guardare alla relazione umano-macchina come un’unità antrorobotica. Con questo non intendiamo un cyborg isolato; la nostra prospettiva non può essere un individualismo metodologico perché, da una parte, le macchine e i robot a cui ci riferiamo sono o saranno prodotti industrialmente e, dall’altra parte, gli individui umani sono in larga misura un prodotto di appartenenza a un collettivo prima che singolarizzino loro stessi. L’unità antrorobotica è la congiunzione di due collettivi, quello robotico e quello umano. Quindi, la nostra ipotesi è che se guardiamo come gli umani formano collettivi in modi diversi, saremo in grado di sviluppare sistemi intelligenti che saranno anche più diversificati.”

 

 


Prima d’ora non avevo mai sentito parlare di antrorobotica, ma quest’intervista ha catturato la mia attenzione. Gli approcci imperniati di eccessiva filosofia non aiutano molto nella comprensione dei concetti, soprattutto se non possediamo delle basi solide in questa materia. E il fatto che Luis de Miranda abbia fatto un passo indietro proprio nell’adottare un metodo troppo filosofico è da apprezzare. Ma perché ha ritenuto necessario creare l’Anthrobotic Cluster?

Facciamo un attimo il punto della situazione. Lo sviluppo e la diffusione della robotica e dell’intelligenza artificiale portano a dei cambiamenti significativi nelle nostre vite e nei sistemi sociali. Queste innovazioni tecnologiche ci procurano benefici, ma anche grandi sfide di tipo etico, legale, politico e ambientale. Come affrontarle? Con un approccio interdisciplinare, cioè adottando la lente di ingrandimento dell’ingegnere, del sociologo, del matematico, dell’esperto in comunicazione, del biologo e così via.

Il contributo degli scienziati provenienti da settori differenti è indispensabile per progettare robot sicuri ed efficienti che svolgono attività sociali. A ciò si aggiunge l’importanza di creare e alimentare un dibattito pubblico sui rischi e le opportunità che derivano dalla creazione di sistemi intelligenti. In questo modo si gettano le basi per diffondere in modo consapevole la tecnologia robotica dal punto di vista sociale ed economico: ne beneficeranno il mercato e le comunità.

Luis de Miranda e coloro che aderiscono al programma della piattaforma sono dell’idea che bisogna analizzare con diversi punti di vista i seguenti elementi:

  • la simbiosi e il conflitto nel rapporto umano-macchina
  • la risposta culturale e legale umana alle azioni dei robot
  • le considerazioni politiche nella fase di progettazione dei robot
  • la creazione di un legame con le macchine
  • la robotica istituzionale e sociale
  • l’ingegneria genetica
  • gli organismi cibernetici
  • la divisione del lavoro
  • il concetto dello spirito di corpo 3.0

 

Siamo sempre più a contatto con le macchine, alcune le inseriamo nel nostro corpo per poter vivere meglio o addirittura per sopravvivere. Ma de Miranda non vuole concentrarsi sul singolo individuo, sul cyborg. Vuole invece affrontare il tema da una prospettiva più ampia, quindi considerare le conseguenze delle interazioni tra gli umani e i diversi tipi di macchine esistenti, dai robot ai programmi di intelligenza artificiale, che avvengono nella società.

Nascono e si sviluppano relazioni con le macchine, uno spirito di corpo che può avere precise caratteristiche in base al legame instaurato. Uomo e macchina una sola cosa, un’unità, come sostiene il filosofo. Da qui la sua conclusione: siamo anche noi dei robot sociali, alla fin fine. Per questo motivo dovremmo progettare e costruire macchine considerando il rapporto sociale, economico, tecnico e politico che abbiamo e che desideriamo avere con esse per vivere meglio nella società.

Sono curioso di sapere come proseguirà il progetto di Luis de Miranda. Se ci saranno novità troverò l’occasione per parlarne ancora. Tu, invece? Cosa ne pensi del suo approccio filosofico?

Fonte immagine: Flickr

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