Che cos’è la neurotecnologia? Esistono diverse definizioni, ma su neurotechnology.uni-freiburg ne ho trovate un paio che, a mio parere, sono davvero complete.

  1. “strumenti tecnici e computazionali che misurano e analizzano segnali chimici ed elettrici nel sistema nervoso, sia esso il cervello o i nervi negli arti. Possono essere utilizzati per identificare le proprietà dell’attività nervosa, comprendere come funziona il cervello, diagnosticare condizioni patologiche, o controllare dispositivi esterni (neuroprotesi, ‘interfacce neurali’)”;
  2. “strumenti tecnici per interagire con il sistema nervoso e cambiare la sua attività, per esempio, per ripristinare input sensoriali come con gli impianti cocleari per recuperare l’udito, o la stimolazione profonda del cervello per fermare il tremore e trattare altre condizioni patologiche”.

Negli ultimi anni sono stati investiti milioni di dollari per lo sviluppo di neuroprotesi, interfacce cervello-computer e per l’optogenetica. Questi tre settori di ricerca progrediscono costantemente e possono fornire le giuste soluzioni per curare malattie e disturbi neurologici. Peter Diamandis, ingegnere, fisico, imprenditore e co-fondatore della Singularity University, ha scritto un post su SingularityHub in cui descrive come le neurotecnologie abbiano trasformato e continuino a trasformare l’umanità. Vediamo a che punto siamo oggi e come sarà domani.

 

La neurotecnologia di oggi

Il nostro cervello è costituito da 100 miliardi di cellule chiamate neuroni. Insieme ai nostri organi sensoriali, i neuroni contribuiscono alla nostra percezione del mondo. Solo che a volte possono venire meno procurandoci diversi problemi. Ed è qui che entrano in gioco le neurotecnologie.

Le prime neurotecnologie ad essere sviluppate sono state le neuroprotesi. Come spiega Diamandis, “il termine ‘neuroprotesi’ descrive l’utilizzo di dispositivi elettronici per sostituire la funzione del sistema nervoso danneggiato o degli organi sensoriali“. L’esempio classico di neuroprotesi è l’impianto cocleare che fu adottato per la prima volta nel 1957 per aiutare le persone a recuperare l’udito. Da allora sono stati applicati circa 350.000 impianti cocleari in tutto il mondo.

Ma gli impianti cocleari sono stati solo un piccolo passo verso un settore di ricerca molto più complesso e affascinante che si basa sullo sviluppo di interfacce cervello-computer (BCI, brain-computer interface). Queste interfacce consentono la comunicazione diretta tra il cervello e un dispositivo informatico esterno. In questo modo è possibile interfacciare il mondo digitale con il sistema nervoso centrale. Magari in futuro riusciremo a riparare o aumentare la cognizione umana.

Come avviene l’interfacciamento? Diamandis spiega che ci sono due approcci. Il primo consiste nella connessione fisica di fili e neuroni con microscopici perni metallici che si attaccano al cervello. Così è possibile stimolare le cellule neurali attraverso l’elettricità oppure misurare il potenziale elettrico dei neuroni quando questi si attivano. Il secondo approccio, invece, consiste nell’optogenetica, ovvero la possibilità di controllare i neuroni con la luce. Una molecola fotosensibile viene inserita nella superficie cellulare di un neurone. In questo modo è possibile procedere alla sua attivazione o disattivazione dall’esterno facendo pulsare la luce a una determinata frequenza.

 

Applicazioni

Siamo solo in una fase iniziale dello sviluppo della neurotecnologia. Tuttavia, fino ad ora abbiamo raggiunto risultati molto interessanti. Diamandis ha elencato alcune delle applicazioni attuali della neurotecnologia per farci capire cosa siamo in grado di fare oggi.

  • Vista: circa 70 persone cieche si sono sottoposte a un intervento chirurgico di 3 ore per l’installazione di un impianto retinico. Di solito questo impianto viene anche chiamato occhio bionico e funziona in questo modo. Degli occhiali con videocamera incorporata catturano le informazioni sulle immagini. Tali informazioni sono processate da un mini-computer, trasportate da una cinghia e trasmessi a u sistema neuro-stimolatore composto da 60 elettrodi impiantato nella retina. Non è ancora possibile recuperare del tutto la vista, ma il suo miglioramento è già un ottimo risultato.
  • Udito: 350.000 impianti cocleari negli ultimi 60 anni. Un microfono registra i suoni dall’ambiente, li manda a un processore vocale e dopo un trasmettitore li converte in impulsi elettrici. Una serie di elettrodi manda questi impulsi elettrici nelle diverse regioni del nervo uditivo in modo da bypassare le zone danneggiate dell’orecchio.
  • Sentire il dolore: alcune società e alcuni gruppi di ricerca stanno cercando un modo per “spegnere” la percezione cronica del dolore attraverso l’optogenetica. Come? Proiettando un fascio luminoso sulla pelle del paziente, proprio sull’area dolorante.
  • Movimento/intenzione: 15 pazienti paralizzati hanno ricevuto un impianto nella loro corteccia motoria che permette loro di controllare braccia robotiche esterne o, addirittura, di rianimare gli arti paralizzati grazie a degli elettrodi impiantati al loro interno.
  • Fame: “Come il dolore, la fame è una sensazione“, dice Diamandis. Alcuni ricercatori dell’Università di Stanford stando studiando un modo per adottare l’optogenetica nel bloccare la sensazione di fame regolando gli stimoli del nervo vago.
  • Memoria: un ricerca dell’University of Southern California sta sviluppando un chip da impiantare nell’ippocampo per ripristinare la codifica e l’accesso della memoria per le persone che soffrono di epilessia.
  • Ansia: Karl Deisseroth e i suoi collaboratori presso l’Università di Stanford hanno identificato uno specifico circuito nell’amigdala (responsabile della paura, dell’aggressività e di altre emozioni di base) che sembra regolare l’ansia nei roditori. Anche in questo caso, forse, grazie all’optogenetica sarà possibile “disattivare” il meccanismo che fa scattare l’ansia.

Ho avuto modo di parlare di neurotecnologia diverse volte in questo blog, soprattutto di neuroprotesi. Una delle tecnologie più sofisticate a riguardo è la protesi controllabile con la mente di John Matheny. Questa particolare protesi è direttamente collegata all’osso dell’uomo. Grazie a diversi interventi chirurgici, può essere controllata direttamente con il pensiero e le intenzioni. E ciò che John riesce a fare con quella neuroprotesi è davvero favoloso.

C’è anche chi è riuscito a controllare non una, ma ben due neuroprotesi, due braccia robotiche. Per questo motivo Les Baugh è chiamato l’uomo bionico. Le sue neuroprotesi sono modulari. Ciò significa che le componenti possono essere progettate e montate in base alle esigenze e alle caratteristiche fisiche del paziente. L’unico problema è che manca ancora l’approvazione della Food and Drug Administration (FDA) per renderla disponibile nel mercato.

Non solo braccia, ma anche gambe. La Össur ha sviluppato una gamba bionica controllabile con la mente. È costituita da sensori mioelettrici che innescano il movimento desiderato dall’indossatore tramite un apposito ricevitore. Finora due persone hanno testato questa neuroprotesi per un anno e i risultati sono stati positivi.

Per quanto riguarda l’optogenetica, invece, vale la pena ricordare il progetto dei ricercatori della Washington University School of Medicine e dell’University of Illinois. Hanno costruito un dispositivo wireless per iniettare farmaci nel cervello e attivare i neuroni. Si tratta di una specie di sonda neurale wireless larga quanto un capello che può essere impiantata nel cervello e attivata tramite comando remoto. La realizzazione di questo dispositivo è stata resa possibile proprio grazie ai precedenti studi di optogenetica.

 

La neurotecnologia del futuro

Più passano gli anni e più siamo in grado di creare nuovi modi per inviare  input sensoriali e nuove capacità di calcolo al cervello. Addirittura c’è chi sostiene che saremo capaci di creare nuovi sensi. David Eaglman, ad esempio, sostiene che “la nostra esperienza della realtà è vincolata alla nostra biologia“. Lui è uno degli scienziati che vuole cambiare questa condizione. Ecco spiegata la sua invenzione. Delle interfacce che permettono di ricevere alcune informazioni di ciò che ci circonda e che normalmente ci sfuggono.

Queste applicazioni ci faranno riflettere su quelli che erano e sono i limiti dell’essere umani. E forse sarà come prevede Ray Kurzweil, ovvero riusciremo a collegare la nostra neocorteccia al cloud attraverso le nanotecnologie. Dei nanobot verranno inseriti nel nostro cervello al fine di connetterlo alla nuvola informatica. Questo ci consentirà l’archiviazione, la consultazione, la condivisione e l’elaborazione di una moltitudine di dati in tempo reale.

Secondo l’esperto Kurzweil, ciò avverrà non prima del 2030. Sarà davvero così? Il dibattito è aperto e anche i transumanisti hanno idee diverse a riguardo.

Immagine: Flickr

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