Nel 2008 Johnny Matheny perse il braccio sinistro a causa del cancro. Da quel momento in poi, si è sottoposto a interventi chirurgici sperimentali per prepararsi ad indossare una protesi finanziata dalla DARPA (Defence Advanced Research Project Agency). Protesi che è stata sviluppata dal Johns Hopkins Applied Physics Laboratory. Si chiama Modular Prosthetic Limb. E consente a Johnny di fare dei movimenti che una protesi tradizionale non potrà mai permettere.

Johnny Matheny è la prima persona a cui è stata impiantata una protesi robotica controllabile con la mente e con collegamento diretto allo scheletro. Il primo tipo di interventi cui si è dovuto sottoporre Johnny si chiama TMR, ovvero Targeted Muscle Re-enervation. Si tratta di operazioni che consentono il riutilizzo dei nervi nonostante l’amputazione.

Il funzionamento della protesi invece, in teoria, è molto semplice. Johnny pensa di voler muovere il suo braccio sinistro, quindi un piccolo impulso elettrico viaggia dal cervello ai nervi re-impiantati. I sensori del bracciale Myo registrano l’impulso, lo rapportano ai muscoli mancanti e attivano un motore nella protesi robotica. La comunicazione tra il bracciale Myo e la protesi avviene attraverso la tecnologia bluetooth.

Ma per avere un’idea chiara delle prestazioni della protesi robotica di Johnny Matheny bisognerebbe vederla in azione. Ed ecco un video dove Johnny mostra cosa riesce a fare con la sua neuroprotesi. È semplicemente fantastico.

 

Verso protesi ancora più efficienti

Per raggiungere questo livello, ci sono voluti una decina anni di lavoro da parte dei ricercatori e un finanziamento di 120 milioni di dollari della DARPA. Ovviamente è stata necessaria anche la pazienza di Johnny Matheny. Il quale non solo si è dovuto sottoporre a diversi interventi, ma ha dovuto pure allenarsi con costanza. Così ha aiutato gli scienziati a migliorare sempre di più la protesi bionica.

Lo sviluppo della Modular Prosthetic Limb aiuterà Johnny Matheny e molte altre persone che hanno il suo stesso problema. Proprio questo viaggio verso lo sviluppo di una protesi robotica migliore ha riempito Johnny di speranza. Ora l’obiettivo è quello di rendere la protesi così funzionale in modo tale da farla sembrare del tutto “umana”. Significa abilitare la protesi robotica a restituire feedback tattili che consentano alle persone di sentire persino il tipo di superficie e la temperatura degli oggetti. E anche qui la DARPA sembra essere un passo davanti a tutti.  Sta infatti potenziando un braccio robotico che restituisce il senso del tatto. Magari un giorno sarà possibile unire le due tecnologie e realizzare i desideri di milioni di persone.

Sono le parole dello stesso Johnny che ci fanno capire quanto possa essere importante sviluppare una protesi robotica del genere. “Voglio essere in grado di avere un braccio che possono rimettere, che possono inserire direttamente, e con cui possono toccare la guancia del loro bambino e sentire la morbidezza della pelle. Vorrei che siano in grado di andare a fondo e di cambiare i loro pannolini e sapere che lo hanno fatto correttamente. che non era troppo largo o troppo stretto. Quello che volevo fare era mettere me stesso al lavoro in modo da aiutare con le muove protesi e altre cose che sarebbero venute insieme.“.

Numerosi progressi sono stati fatti in quest’ambito e altre persone possono testimoniarne l’importanza. Ad esempio, Nigel Ackland con la sua mano bionica Bebionic riesce a fare quasi tutto, anche cose che una mano normale non potrebbe fare, tipo roteare a 360°. Scheuermann è riuscita a controllare un braccio robotico con la mente. Erik Sorto ha fatto la stessa cosa attraverso un impianto neurale. In questi due ultimi casi, le braccia robotiche erano esterne e non impiantate nel loro corpo. Sono comunque tecnologie che attraverso la codifica del pensiero consentono alle persone di trasmettere determinati movimenti a protesi o braccia robotiche. Ed è un grandissimo risultato.

Protesi robotiche come la Modular Prosthetic Limb, una volta potenziate e in grado di comunicare perfettamente con il cervello, non saranno più solo ed esclusivamente degli strumenti di supporto per le persone. Ma diventeranno completamente parte di loro.

Fonte: pbs

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