Secondo la giustizia californiana, raccogliere campioni di DNA di sospetti è violazione della privacy, quindi un’azione incostituzionale. La decisione del tribunale d’appello della California si schiera così contro la Corte Suprema federale degli Stati Uniti.
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Fonte: Flickr |
Il caso
La decisione è stata presa dopo l’esaminazione del caso People v. Buza dove un uomo di San Francisco di nome Mark Buza è stato condannato per incendio doloso, possesso di materiale combustibile e vandalismo. Inoltre, Buza si è rifiutato di fornire alla polizia un campione del suo DNA. Ed è proprio qui che il tribunale californiano ha preso una decisione per molti inaspettata.
Il giudice ha fatto riferimento alla Costituzione della California che dichiara la privacy un diritto inalienabile. La legge in questione è la Privacy Initative, del 1972. Appurato che il DNA contiene molte informazioni personali che potrebbero essere archiviate per sempre, i giudici hanno rilevato che:
“la raccolta e la conservazione indefinita di campioni di DNA è l’epitome del tipo di stoccaggio di informazioni personali e private che la Privacy Initiative intende proteggere dall’intrusione governativa non necessaria.”
Dibattito pubblico?
Il problema è che gran parte delle questioni legate alla raccolta del DNA per lo svolgimento di indagini, molto spesso, non sono oggetto di dibattito pubblico. Tant’è vero che, come sottolinea la stessa corte californiana, il California DNA Act (che prevede la raccolta del DNA di sospetti) è stato approvato in tempi fin troppo rapidi. Le conseguenze, secondo una ricerca del 2012, non sono affatto positive: circa il 62% degli arresti si concludono senza una successiva condanna. E intanto i dati personali di molte persone vengono raccolti e conservati nonostante queste non abbiano commesso alcun crimine. Prima di redigere una legge sulla raccolta del DNA bisognerebbe informare i cittadini sulle procedure e le conseguenze di queste operazioni. Se è lo stato per primo a non informare allora non può esserci un dibattito pubblico.
Situazione italiana
In Italia esiste la banca dati del DNA, ma opera in un contesto legislativo diverso. La banca dati del DNA, prevista dalla legge 85/2009, ha lo scopo di facilitare l’identificazione degli autori di delitti. Con questa legge l’Italia ha aderito al Trattato di Prum che è “volto a rafforzare la cooperazione di polizia in materia di lotta al terrorismo, alla criminalità transfrontaliera ed all’immigrazione clandestina.“. La violazione della privacy è scongiurata dall’articolo 12 che riporto qui di seguito: