Informatico, scrittore, inventore, direttore del settore ingegneristico di Google e anticipatore delle tendenze tecnologiche sul riconoscimento del parlato e tastiere elettroniche, Ray Kurzweil possiede quella che solitamente si definisce un’intelligenza fuori dal comune. Un’intelligenza che molto spesso fa di lui un genio visionario, una persona in grado di analizzare le dinamiche dell’innovazione tecnologica in corso, elaborarle e quindi di offrire ai comuni mortali un possibile spaccato futuristico della società: in sintesi, è un transumanista, uno di quelli più affiatati.
I nanobot, forse più conosciuti come nanorobot, sono dei robot o dispositivi la cui grandezza solitamente varia, da 0,1 a 10 micrometri e sono in grado di applicare modifiche all’ambiente in cui sono inseriti. In un’intervista del Wall Street Journal Kurzweil ha specificato che la nostra estensione in contesti biologici includerà proprio i nanobot che verranno inseriti nel nostro cervello in modo tale da connetterlo al Cloud Computing, la nuvola informatica, l’insieme delle tecnologie che permettono l’archiviazione, memorizzazione ed elaborazione di dati grazie alla distribuzione in rete di hardware e/o software.
Inoltre, ha aggiunto che stesso Google negli ultimi tempi sta mostrando un particolare interesse per la nanotecnologia: infatti, nel momento in cui il Cloud verrà caricato nella neocorteccia, i servizi del colosso di Mountain View saranno in grado di connettersi direttamente con i nostri pensieri e offrirci le risposte che cerchiamo in tempo reale. Ormai ci stiamo sempre più avvicinando a quella che Kurzweil definisce “The Singularity“, ovvero la totale fusione tra uomo e macchina.
È sufficiente leggere la pagina di Wikipedia a lui dedicata per farsi un’idea generale sul suo conto. Ora, non possiamo sapere se ciò che dice Kurzweil si realizzerà o meno; piuttosto, le sue idee ci potrebbero aiutare a comprendere le potenzialità della tecnologia e le diverse opportunità che potrà offrirci. Allo stesso tempo, ci permetterebbe di avviare anticipatamente una riflessione etica: sarà positivo questo livello di invasività delle tecnologie? Qui le risposte saranno inevitabilmente sia negative sia positive. Io sposterei la questione su un altro punto, a mio parere, fondamentale: se ciò dovesse effettivamente accadere, saremmo noi gli unici controllori di questo tipo di tecnologia?
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